O elisir di sacra madre riproduci in me l’eternitade. Ma ber di te io non posso se non accelerando l’Opera al rosso. Però difficil impresa è questa mia che bagna e corrode di brama la follia. Come può il potabil “oro” peccare nel suo esser puro? Di cotal bellezza fa rinvigorir i cuori che da vecchi divengon nuovi. Allor perché tanta mescianza? E come può la lor servanza divenir del fiele all’ignoranza? Dentro i verdi giardini di innata bellezza piovon fuochi di lucentezza. Il mio “foco” però che debol è alla tua speme racchiude tutto l’uno in cui si crede. Quel credo nel creato che all’infinito induce, se non a riservar la mano a chi produce. Produce il sol dei venti, dei mari, e della terra dove ogni marinaio non gli vien concessa stella. La stella come bussola dell’universo che collega i mondi nell’astratto verso. Governa in me il bianco pellicano che nel sangue sacrificando il petto, adora i suoi figliuoli anche nel difetto. Racchiude or la saggezza del piombo trasformato in oro, come una rosa rossa nel mistico tesoro.